La testimonianza di Don Sandro Salvucci, Arcivescovo di Pesaro
È con molto piacere che mi rivolgo a voi, soci, membri, sostenitori dell’AIL di Pesaro e ringrazio il presidente Massimo Sierra per l’opportunità di poterlo fare tramite il vostro notiziario locale.
Seguo con particolare interesse quanto questa associazione fa, in campo nazionale, nel promuovere e sostenere la ricerca, aiutare i pazienti, adulti e bambini, e le loro famiglie ad affrontare il percorso della lotta contro la malattia e ho avuto il piacere di vedere come anche a livello locale, qui a Pesaro, l’associazione è molto attiva, in particolare per il sostegno che offre al reparto ospedaliero e per la vicinanza concreta ai malati e alle famiglie, creando servizi volti a migliorare le loro condizioni di vita.
Nella mia storia personale posso testimoniare quel percorso difficile che è l’esperienza della malattia in famiglia, quando mia sorella maggiore è stata malata di leucemia per quattro lunghi anni. Ricordo bene i lunghi periodi di assenza di mia madre per starle accanto in ospedale, la tanta strada percorsa da mio padre dopo il lavoro per farle visita; ricordo le speranze riposte nell’efficacia delle cure mediche, alternate allo sconforto per il peggioramento del quadro clinico; ricordo anche la solidarietà e l’amicizia stabilite con altre famiglie conosciute in ospedale che condividevano situazioni simili. Infine, la malattia, anche a motivo degli ancora limitati strumenti del tempo (parliamo di cinquant’anni fa), ha vinto su mia sorella, nata al cielo alla giovanissima età di 12 anni. Tuttavia, di questa dura esperienza resta il profumo di quel bene che nasce da sentimenti di umanità, di solidarietà e di autentica compassione.
Ora, la prima cosa che dico a voi soci dell’AIL di Pesaro è semplicemente: grazie perché ci siete! Credo sia fondamentale farsi prossimi a chi si trova ad affrontare il calvario della malattia, con la “pronta compassione” del samaritano che “si fa vicino…fascia le ferite…si fa carico…porta…si prende cura”. Che bella questa sequenza di verbi che ci offre la parabola di Gesù nel Vangelo di Luca (Lc 10,30-37)! In altri termini è quello che la vostra associazione cerca di fare nei confronti dei malati e delle loro famiglie, tenendo presente che anche quando non è possibile far guarire, è sempre possibile curare, letteralmente “avere cura”. Il malato non è la malattia. Chi vive la sofferenza di certo ha in cuore paure, ansie, preoccupazioni, ma non perde i desideri, i sogni, i progetti che fanno parte della persona in quanto tale e questi vanno ascoltati e soprattutto custoditi. Avere cura del malato e di chi combatte con lui la malattia è un grande atto d’amore che non lascia spegnere la speranza. Quando ci si trova a percorrere una strada come quella della malattia ematologica, che può sembrare spesso senza uscita, poter contare su mani e braccia solidali ed amorevoli che rendono il cammino meno duro è motivo di grande Speranza, rende davvero presente il volto di Dio al nostro fianco.
La seconda parola che vi rivolgo è: coraggio! Dice San Paolo nella sua lettera ai Romani: “non siate pigri nel fare il bene”, “condividete le necessità”, “abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri” (Rm 12,11.13.16). Prendersi cura del fratello in difficoltà e patire-con (avere compassione) chi si trova ad affrontare la sofferenza non è una strada semplice da percorrere, è più facile lasciar perdere, trovare mille scuse che ci portano ad occuparci di altro. Ecco allora il mio invito ad andare avanti con quel coraggio che dimostrate. Siate perseveranti in ciò che fate, nel “fare il bene”, perché il Signore ha detto: “tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40), dove “piccolo” è colui che ha più bisogno di aiuto, di vicinanza, di tenerezza (per dirla con Papa Francesco). Quando scegliamo la via della prossimità, della compassione, del prenderci cura del fratello che soffre, siamo “sentinelle nella notte”, “sale della terra”, lievito che fermenta, siamo il vero volto di Dio, che è Amore. Riusciremo solo così a riaccendere nel cuore di chi è malato e dei suoi cari la Speranza, semplicemente facendolo sentire amato così com’è e ancora degno di essere sé stesso fino in fondo, nonostante la malattia abbia cambiato tanto nella sua vita.
È grande ed importante la missione di chi si prende cura ed è bello e significativo che ogni iniziativa volta in questa direzione non sia affidata all’idea di uno solo, ma nasca all’interno di un ambito associativo. Siete l’immagine di una comunità che ha a cuore tutti, con un occhio di riguardo per chi si trova nella sofferenza, siete antidoto all’indifferenza, siete uomini e donne di “buona volontà” che non hanno paura di mettersi in gioco e soprattutto siete dimostrazione, anche con l’opera di sensibilizzazione che fate nelle piazze o con la partecipazione ad incontri pubblici organizzati, che si può fare tanto, ma ci si riesce solo se lo si fa insieme.
Don Sandro Salvucci
Arcivescovo di Pesaro